In questa sezione “news” sono stati più volte pubblicati contributi in tema di sospensione dei rimborsi Iva.
Uno di questi (giugno 2019) aveva ad oggetto l’Ordinanza Interlocutoria n. 16567 del 20 giugno 2019 con cui la Corte di Cassazione chiedeva al primo Presidente di valutare l’opportunità della rimessione alle Sezioni Unite di una causa – seguita dall’Avv. Mattarelli – relativa alla sospensione di un ingente rimborso Iva a fronte di carichi pendenti estranei all’imposta sul valore aggiunto ed annullati da sentenze non definitive.
L’intervento delle Sezioni Unite appariva assolutamente necessario dal momento che la Suprema Corte negli ultimi anni aveva espresso una posizione tutt’altro che univoca in merito: (i) alla preclusione per il Fisco dell’applicazione di misure cautelari in ipotesi di richiesta di rimborso dell’eccedenza IVA, del D.P.R. n. 633, ex art. 38 bis; (ii) all’operatività della sospensione di cui all’art. 23 del D. Lgs. n. 472/1997 nei casi in cui il titolo del “carico pendente” fosse stato annullato da una sentenza non definitiva.
Con la Sentenza n. 2320 del 31 gennaio 2020 le Sezioni Unite hanno ritenuto infondato il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate ed hanno risposto ai seguenti quesiti:
- a) se, in caso di richiesta di rimborso di un credito IVA, l’amministrazione finanziaria che abbia chiesto e ottenuto fideiussione dalla contribuente a termini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 1, possa fare uso dello strumento cautelare di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1, ovvero anche di quello previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, ove contesti al creditore un controcredito derivante dall’irrogazione di sanzioni, nella specie conseguenti ad imposte non armonizzate;
- b) se il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1, trovi applicazione in caso di atto di irrogazione delle sanzioni annullato non definitivamente.
Nella premessa alle proprie conclusioni i Giudici danno risalto ad una circostanza: l’atto impositivo impugnato di cui la Società era destinataria era stato motivato dall’Ufficio sulla scorta dell’art. 23 del D. Lgs. n. 472/1997 e non ai sensi dell’art. 69 del R.D. n. 2440/1923. Le SS.UU. rilevano che l’art. 23 richiede che: “a) la pretesa dell’Amministrazione finanziaria sia formalizzata in uno specifico atto di contestazione o di irrogazione della sanzione a lui notificato, non essendo sufficienti mere ragioni di credito, come per il fermo amministrativo” e “b) limita espressamente la sospensione alla “somma risultante dall’atto o dalla decisione della commissione tributaria ovvero dalla decisione di altro organo mentre nella disciplina del fermo non si fa cenno a limiti quantitativi della sospensione del pagamento in relazione all’entità delle ragioni di credito”. Sennonché – dopo aver fatto questa precisazione – la Corte avrebbe forse dovuto dar conto del principio di specialità e della necessaria inapplicabilità del generale regime del fermo alle ipotesi di sospensione dei rimborsi tributari in ragione di carichi pendenti anch’essi tributari, in presenza di una norma speciale quale è l’art. 23, che disciplina compiutamente la materia. E’ questo forse la parte meno soddisfacente della sentenza che, grazie alla soluzione dei due quesiti sopra citati, costituisce invece un vero punto di svolta.
Per quanto riguarda la soluzione del primo dei due quesiti i giudici dapprima procedono ad una disamina dei “variegati” precedenti della stessa Corte di Cassazione per poi affermare che l’ambito applicativo dell’art. 38-bis è differente da quello di altre disposizioni che autorizzerebbero la sospensione del rimborso (in particolare l’art. 23 del D. Lgs. n. 472/1997 e l’art. 69 del R.D. n. 2440/1923).
Ciò comporta secondo le SS. UU. l’inesistenza di una qualche relazione lex specialis/lex generalis tra le disposizioni e l’impossibilità di considerare l’art. 38 – bis “autosufficiente” rispetto alle altre.
E, tuttavia, continuano le Sezioni Unite: “l’astratta concorrenza dei due sistemi non può risolversi col ritenere, senz’altro, ammissibile il cumulo delle garanzie, secondo i principi affermati nelle medesime sentenze scrutinate nell’ambito del secondo gruppo”. Sulla scorta di questa premessa il massimo Consesso ritiene quindi che “l’Amministrazione non possa cautelarsi due volte, pur se con finalità diverse, in riferimento allo stesso credito del contribuente e cioè che essa possa emettere il provvedimento di fermo durante il periodo di vigenza della garanzia (cauzione, o fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, che sia) prestata dal contribuente ai sensi dell’art. 38 bis, del decreto IVA: tale duplice cautela risulta, da una parte, ingiustificata per l’Erario, che può rivalersi sulla garanzia già prestata e a sua disposizione, ed implica, dall’altra, un carico eccessivo per il contribuente, che, oltre all’onere della prestazione della garanzia, vede il medesimo suo credito sottoposto a fermo.”
Pertanto, a fronte della prestazione della garanzia ed in costanza di sua validità, il fermo cautelare non può essere opposto mentre, viceversa, potrebbe essere opposto nei casi di assenza di garanzia.
Venendo alla soluzione del secondo quesito, invece, le Sezioni Unite, dopo aver fatto espresso riferimento ad alcuni autorevoli dicta della stessa Corte (Sent. Cass. V sez. n. 2893 del 2019 per quanto riguarda la caducazione delle ragioni della sospensione del rimborso nel caso in cui una Sentenza – ancorché non definitiva – abbia annullato l’atto impositivo che la giustificava e Sent. Cass. SS. UU. n. 758/2017 sull’immediata efficacia delle decisioni delle Commissioni tributarie), affermano il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui un atto di irrogazione delle sanzioni sia stato annullato in tutto o in parte con sentenza anche non definitiva cessa di avere efficacia il provvedimento di sospensione del pagamento del credito vantato dall’autore della violazione o dai soggetti obbligati in solido nei confronti dell’amministrazione finanziaria emesso ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 23, comma 1”.
E’ chiaro che questa pronuncia – cui si è approdati con un contenzioso durato oltre dieci anni – seppure in qualche parte lacunosa, è destinata a porre un decisivo freno alla sospensione dei rimborsi Iva ed in generale alla diffusa prassi degli Uffici di mantenere il fermo in ragione di pretese già giudicate infondate, subordinando lo sblocco al solo raggiungimento del “giudicato” che – dati i tempi della giustizia (soprattutto di cassazione) – che potrebbe arrivare dopo anni ed anni dalla richiesta.