La recente pronuncia della Corte di Cassazione in commento (sentenza 21 gennaio 2021, n. 1232) stabilisce alcuni principi importanti in ambito transfer pricing.
La controversia scaturiva dalla notifica ad una società contribuente di un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione riprendeva a tassazione maggiore Irap per l’annualità 2006 a seguito di una contestazione inerente all’applicazione delle regole di transfer pricing. I giudici di merito hanno confermato l’operato dell’Agenzia ritenendo pacifico il collegamento societario tra le società estere e la ricorrente e incongrua la giustificazione addotta da quest’ultima in merito alla normalità del prezzo della cessione delle royalties relative allo sfruttamento di un marchio.
Invero, la società adduceva la necessità di garantire alle controllate straniere una maggiore competitività sul mercato di riferimento, come conseguenza di un eccesso di domanda.
La sentenza in commento rileva sotto un duplice aspetto.
Il primo consiste nel richiamo alla sentenza 2 marzo 2020, n. 5645, con cui la Cassazione – in un caso relativo ad una transazione infragruppo avente ad oggetto l’uso di diritti di licenza su marchi e know-how – aveva già espresso il principio di diritto secondo cui anche in questi casi il valore normale della transazione commerciale infragruppo va determinato secondo al metodo del “Resale Price Method”, in aderenza ai criteri di cui alla Circ. 32 del 22 settembre 1980 e del rapporto OCSE 1995.
Il secondo aspetto concerne la logica dell’interesse di gruppo. La Corte di Cassazione nel rimarcare la propria consolidata posizione in tema di ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione e società contribuenti in ambito transfer pricing afferma anche che “occorre tenere presente che la logica della direzione e del coordinamento tra imprese controllate e collegate può far assumere alle “ragioni commerciali” giustificatrici della fissazione del “normale” prezzo di cessione un connotato affatto peculiare”.
La Corte, sul punto, richiama la sentenza Pizzarotti 8 ottobre 2020, C-558/19, della Corte di Giustizia che “precisa, in proposito, che le ragioni commerciali ben potrebbero identificarsi nella “posizione” del soggetto all’interno del gruppo societario” (a ben vedere la Cassazione dà conto dei principi della medesima sentenza Pizzarotti anche con riferimento al contemperamento tra le regole di transfer pricing e di libertà di stabilimento, sebbene non li ritenga applicabili nel caso di specie dal momento che la sentenza in commento tratta la comparazione della legislazione italiana con quella di stati non membri UE).
Ciò premesso, in relazione alla logica dell’interesse di gruppo (da intendersi come elemento giuridicamente rilevante e diverso da quello delle singole società appartenenti al gruppo) i Supremi Giudici richiamano la cd. “teoria dei vantaggi compensativi” (art. 2497 c.c.), ma chiariscono che tali principi propri del diritto societario necessitano di essere interpretati alla luce delle peculiarità del diritto tributario “in tema di arbitraggi fiscali”. La Corte di Cassazione argomenta sulla ratio della normativa interna di transfer pricing che deve essere rinvenuta nella salvaguardia dell’arm’s length principle di cui all’art. 9 del Modello di Convenzione OCSE che consente la possibilità di sottoporre a tassazione gli utili derivanti da operazioni infragruppo regolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute fra imprese indipendenti in transazioni comparabili effettuate sul libero mercato. In questa prospettiva, dunque, i Supremi Giudici sanciscono che: “la policy aziendale, presa di per sé stessa, non è causa di giustificazione necessaria e sufficiente per derogare la regola del valore normale”.