La Sentenza della Corte di Cassazione n. 2569 del 21.01.2019 affronta un caso di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte commesso attraverso un trust autodichiarato.
La ricostruzione del fatto, che emerge dalla lettura della sentenza, vede l’istituzione di un trust su alcuni degli immobili intestati all’imputato, effettuato, tuttavia, in circostanze e con modalità tali da dubitare della liceità del ricorso a tale istituto.
Il trust era stato costituito al fine di garantire un reddito annuo alle figlie dell’imputato: il ricorso a tale istituto dopo la notifica delle cartelle di pagamento da parte di Equitalia Nord S.p.a. e il mantenimento in capo al settlor di “ogni facoltà, diritto e potere di disporre dei beni medesimi senza alcuna limitazione” avevano, tuttavia, fatto sorgere dubbi circa la bontà del programma istitutivo del trust e circa la realità della segregazione patrimoniale che con esso si intendeva realizzare.
Il momento e le modalità di istituzione del trust facevano infatti pensare che dietro alla dichiarata finalità di garantire un reddito annuo alle figlie si celasse in realtà la volontà del disponente di sottrarre i propri beni alla garanzia dell’Erario: da qui la contestazione in capo al settlor del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Condannato in primo e in secondo grado per il reato di cui all’art. 11 del d. lgs n. 74/2000, l’imputato ricorre quindi per cassazione, non contestando tuttavia la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo, ma ritenendo insussistente l’elemento soggettivo del reato, in quanto la costituzione del trust sarebbe stata finalizzata a sottrarsi al pagamento di debiti privati e non già al pagamento dei debiti erariali.
La Corte di Cassazione condivide innanzitutto la motivazione dei giudici di merito, ritenendo integrato, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, tramite il riferimento a quella “analisi puntuale della causa concreta del negozio” compiuta dalla Corte di Appello per desumere “la natura fraudolenta (o comunque simulata) del trust”.
Interessante notare che con il riferimento alla causa concreta del negozio, i giudici di legittimità ribadiscono che tale figura di trust è lecita e che è l’utilizzo distorto di tale istituto a renderlo nel singolo caso un possibile strumento di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Spostando l’analisi sull’elemento soggettivo del reato, la Corte di Cassazione sottolinea invece che “l’intento fraudolento della costituzione del trust è desumibile per tabulas, dalla semplice analisi della causa concreta” e che “il fine di sottrarsi al pagamento dei debiti privati non esclude quello di sottrarsi al pagamento dei debiti erariali”.
Con il ricorso al dolo indeterminato (elemento soggettivo che accompagna il comportamento del “soggetto [che] agisce volendo, alternativamente o cumulativamente, due o più risultati non incompatibili”), i giudici di legittimità escludono quindi in radice che la sussistenza, pretestuosa (come nel caso in esame) o meno che sia, di finalità concorrenti possa escludere l’integrazione del reato.