Ai fini delle imposte dirette le S.S.U.U. della Corte di Cassazione sin dal 2016 (sentenza 15 marzo 2016, n. 5069) hanno affermato il principio secondo cui, a fronte di una richiesta di rimborso di un credito esposto in dichiarazione, il mancato esercizio dell’accertamento nei termini di legge non impedisce all’amministrazione finanziaria di contestare l’effettiva esistenza del diritto di credito.
Chiamate a derimere un contrasto nato sull’applicabilità di tale principio anche in ambito Iva, le S.S.U.U. della Corte di Cassazione, dopo aver operato una distinzione tra il credito Iva che scaturisca dalla sottostima dell’imposta dovuta e il credito Iva che nasca dal coacervo delle poste detraibili che prevalgono sul debito, afferma che solo il primo non può essere contestato oltre il termine di decadenza per l’accertamento. È questo il principio affermato nella sentenza del 29 luglio 2021, n. 21765 .
Ad avviso delle SS.UU. il credito che derivi da una sottostima dell’imposta a debito non può essere contestato oltre il termine di decadenza, così come l’Amministrazione finanziaria non può contestare oltre il termine di decadenza il debito iva del contribuente, accertando una maggiore imposta rispetto a quella liquidata.
Laddove, invece, il rimborso richiesto derivi dall’imputazione di “imposta a credito”, allora la sua omessa contestazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria non consentirebbe la cristallizzazione del credito, poiché l’inerzia avrebbe funzione di tacito rifiuto, dinnanzi al quale il contribuente che intendesse fare valere la propria pretesa al rimborso, dovrebbe assumersene l’onere probatorio in giudizio. Tra l’altro, sebbene la sentenza sottolinei come rilevante la circostanza che il credito sia riportato di anno in anno, non fa poi seguire alcuna riflessione sull’evenienza che – in assenza del riporto dell’eccedenza – il credito sia chiesto a rimborso, ma sia rimasto ineseguito per anni (per esempio a causa di un provvedimento di sospensione).
Secondo le S.S.U.U., il principio così affermato non lederebbe i principi che sovraintendono al funzionamento dell’Iva e non si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di legittimo affidamento che il solo decorso del tempo non sarebbe idoneo a produrre.
Invero, una simile disciplina del credito Iva, e in particolare la distinzione della tipologia di credito, sembra contraria ai principi comunitari di funzionamento dell’imposta, per i quali il rimborso dell’eccedenza Iva altro non è che uno degli esiti del meccanismo di detrazione, a sua volta diretta esplicazione del principio di neutralità dell’Iva. È poi tutt’altro che scontato che tale principio non osti ad un sistema che (come pare sostenere la Corte) qualifica tout court l’inerzia nel controllo delle dichiarazioni al “rifiuto tacito”. Peraltro, la Corte di Giustizia non sembra abbia mai esaminato un caso similare, sicché le affermazioni con cui i giudici delle SS.UU. escludono la possibilità di un contrasto con la Direttiva Iva, non convincono appieno.
Il sistema che si delinea per effetto della sentenza qui annotata, va valutato congiuntamente alla consolidata giurisprudenza resa dalla Corte in materia di rimborso, secondo la quale (tra le più recenti, ex multis, v. Cass. Ord. 24798/2021) nelle liti originate dal diniego (implicito o esplicito) di rimborso il contribuente è sempre attore in senso sostanziale, tenuto quindi a dimostrare l’esistenza di tutti i presupposti del diritto che intende far valere, con la conseguenza che i motivi dell’atto di diniego o le eccezioni avanzate col primo in giudizio, possono sempre essere integrati dall’Amministrazione, nel corso del giudizio senza preclusioni con eccezioni ed argomentazioni giuridiche ulteriori (salvi solo il giudicato interno e il principio di non contestazione).
Ebbene, tali principi, letti alla luce della sentenza delle Sezioni Unite, consentiranno all’Amministrazione finanziaria non solo di mettere in discussione i risultati della dichiarazione oltre il termine di decadenza del relativo accertamento, ma anche di sollevare nel corso di tutto il giudizio (necessariamente) instaurato dal contribuente, anche ad anni di distanza dalla dichiarazione, ed in ogni momento di esso, ogni possibile eccezione o argomentazione contraria, in fatto o in diritto.
Emerge un assetto della disciplina nel quale il concreto esercizio del diritto di rimborso potrà risultare assai difficoltoso e non si è affatto sicuri che esso possa serenamente essere considerato rispettoso del principio di neutralità. È evidente che questo scenario implica una revisione delle scelte in ordine alla richiesta immediata di rimborso delle eccedenze (quando possibile ex art. 30, d.P.R. n. 633/72) o di rinvio.