Torniamo ad occuparci di abuso del diritto con un’importante decisione, sentenza 15 giugno 2021, n. 2266, della Commissione tributaria regionale della Lombardia con cui i giudici d’appello hanno riconosciuto la sostanza di una complessa operazione economica posta in essere da una società contribuente, difesa dallo Studio, al fine di dismettere le partecipazioni in un altro ente societario.
La sentenza è particolarmente rilevante in quanto i giudici non si limitano ad un’analisi della vicenda fattuale, che di seguito si esporrà nel dettaglio, ma esaminano anche la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’art. 10 – bis dello Statuto, tra cui la sent. 9135/2021 oggetto della nota di aprile su questo sito, e richiamano espressamente il testo del c. 4 della disposizione: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
Più nel dettaglio l’operazione contestata riguardava la dismissione delle partecipazioni da parte di una società contribuente in un altro ente nell’ambito di un investimento che, ormai, non risultava più sostenibile dal punto di vista economico. Trovato un acquirente/cessionario austriaco, la società appellante si impegnava a concludere l’operazione secondo le modalità e alle condizioni richieste dalla controparte commerciale, ossia creando una apposita New-co di diritto austriaco e dotandola di un ingente capitale (da intendersi anche come “contropartita” a fronte delle condizioni a sua volta poste dalla società appellante). Con riferimento a tale configurazione del rapporto commerciale, l’Ufficio contestava l’abusività di tale operazione in quanto, a suo dire, era preordinata alla realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, poiché la società contribuente aveva potuto così portare in deduzione la minusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione fuori dall’applicazione della PEX e che, comunque, l’adozione di tale schema commerciale fu soltanto richiesto dall’acquirente, e non “preteso”. Inoltre, l’Ufficio rilevava l’abusività dell’operazione anche per il fatto che il medesimo risultato avrebbe potuto realizzarsi anche mediante un semplice conferimento nella società di cui si alienavano le partecipazioni al momento della conclusione del contratto.
I giudici della Commissione tributaria regionale della Lombardia disconoscono le argomentazioni con un’attuale e corretta interpretazione dell’istituto dell’abuso del diritto, e specificamente, in riferimento all’operazione oggetto di contestazione rilevano che:
– dismettere la partecipazione in una società in crisi non è semplice ed è naturale che l’appellante fosse disposta ad assecondare le condizioni imposte dalla controparte commerciale;
– non è affatto inattendibile che una società di diritto straniero, quale l’acquirente/cessionaria, abbia richiesto a fronte dell’assunzione dell’obbligo e delle condizioni a sua volta poste dall’appellante che l’operazione avvenisse mediante la costituzione di una New-co di diritto austriaco dotata del capitale di cui si è già detto al fine di fruirne con maggiore facilità;
– la prova che l’esecuzione dell’affare attraverso il meccanismo di cui si è detto fosse stato imposto dall’acquirente è nell’accordo quadro nel quale espressamente viene utilizzata la dicitura “su richiesta”, e per tale ragione “privo di qualsiasi ragionevolezza è, pertanto, l’assunto dell’Ufficio laddove vorrebbe distinguere, ai fini della discussione, tra i termini “richiesta” e “pretesa” per destituire di pregio la posizione assunta […]” dall’acquirente;
– appare particolarmente conferente il parere tecnico rilasciato da professionisti specializzati e allegato dall’appellante a dimostrazione del carattere consuetudinario di tal genere di operazioni transnazionali che “si scontrano irrimediabilmente con l’apodittica considerazione degli anteriori Giudici (pag. 3 della sentenza) secondo la quale “la concatenazione di operazioni che ci occupa potrebbe essere stata imposta di fatto dal venditore per ottenere la deduzione della minusvalenza altrimenti non deducibile ai sensi dell’art. 87 TUIR”.
I giudici di appello, quindi, accolgono l’appello e riformano la sentenza impugnata in quanto rilevano che il vantaggio fiscale conseguito dall’appellante non appare indebito, dal momento che esso non sembra essere prevalente: “infatti, a fronte di un trend di costante perdita annuale di 30 milioni di euro può stimarsi pacifico che l’interesse di [omissis] fosse quello di cedere le partecipazioni e certamente non quello, prevalente, di precostituirsi le condizioni per dedurre la minusvalenza: a ciò si aggiunga che la pretesa/richiesta di [omissis], ove non accolta dal cedente, avrebbe potuto porre a rischio l’intera operazione, il buon esito della quale non poteva non essere l’obiettivo economico essenziale perseguito da [omissis].